Sostenibilità ed evoluzione del digitale: Piano D intervista Chris Adams

29 Ottobre 2021

Digital Sustainability: una serie di interviste realizzate dal team di Piano D in collaborazione con Seeweb, ai maggiori esperti mondiali di sostenibilità digitale. L’obiettivo di questa rubrica è quello di sensibilizzare sul rapporto tra ambiente e sfera digital, condividere idee, opinioni e pillole informative; capire come un tema oggi sconosciuto in Italia, venga recepito all’estero.

Ciao Chris, siamo davvero felici di poter fare questa chiacchierata insieme. Possiamo dire che sei uno dei pionieri della sostenibilità digitale, puoi parlarci del tuo background e di come sei arrivato a interessarti di questa tematica?

Ho iniziato il mio percorso nei primi anni 2000 con una formazione nel design, ho studiato Creative Contemporary Media Practice all’università. In quegli anni mi sono reso conto di quanto importante internet stesse diventando per le nostre vite, come funzionasse come una sorta di tessuto connettivo digitale per la nostra società. 

Durante gli studi, uno dei progetti finali assegnati ha portato alla progettazione di un tool digitale, un sistema che permetteva a chiunque di segnalare come “cattivo guidatore” le persone nei veicoli in prossimità del proprio, mandando un video a una compagnia di assicurazioni. Dal momento che le compagnie assicurative non avevano l’obbligo di rivelare come valutavano i loro premi, l’idea era che sarebbero stati in grado di valutare il costo della polizza di quel cattivo conducente subito dopo la segnalazione fatta tramite l’app.

L’idea alla base della progetto studio era dimostrare come a volte i prodotti digitali vengano progettati senza considerare il loro effettivo impatto e le reazioni a catena che possono causare (la maggior parte delle volte in senso negativo), se non si fa attenzione a considerare tutte le implicazioni etiche che interventi di questo tipo comportano: quello che avevamo progettato era chiaramente qualcosa di troppo invasivo, perciò piuttosto che promuoverlo come prodotto digitale abbiamo preferito puntare sul suo valore creativo, scegliendo di esporlo in una galleria d’arte e rendendolo fondamentalmente un prodotto non acquistabile sul mercato. In questo modo, l’abbiamo resa un’idea impossibile da brevettare e non perseguibile commercialmente.

Ti parlo di questo esempio perché spesso utilizziamo la tecnologia senza comprendere piamente il suo funzionamento, le connessioni e l’impatto che potrebbe avere sulla società in un senso più ampio e generalizzato, e ci rendiamo conto dei danni quando ormai è troppo tardi per tornare indietro.

Dopo la laurea ho sempre cercato di essere coinvolto in progetti che mi riportassero a questo senso di responsabilità, che si inserissero in quello spazio delicatissimo dove la tecnologia si intreccia alla società, dove considerare l’etica al primo posto è fondamentale. 

Ho lavorato a lungo per una realtà, “The Nag”, che mi ha permesso di entrare in contatto con tanti tecnici e lavoratori di settore appassionati e con grandi capacità, e ho collaborato con loro lavorando come designer, continuando poi con il primo approccio al mondo delle consulenze.

Così sono approdato in AMEE (Avoiding Mass Extinctions Engine), un’environmentally data company che fondamentalmente si poneva l’obiettivo di fornire conoscenze, supporto, e la strumentazione adatta a ogni azienda che desiderava iniziare un percorso verso l’impatto zero. Durante i miei anni di lavoro con AMEE ho lavorato mettendo in campo tutte le mie possibilità e competenze per cercare di operare in modo attivo a sostegno dell’ambiente, con lo scopo ultimo di diffondere l’approccio sostenibile anche nel digitale.

Dopo questa esperienza ho lavorato qualche anno come web developers fondamentalmente come freelance, dedicandomi a user research, product management, ux, development e altro: ho collaborato con un buon numero di environmental start ups, e la sostenibilità ambientale è diventata compagna quotidiana del mio lavoro.  

Mentre ero ancora a Londra ho fatto parte del movimento di incontri promossi da Clean Web London, una comunità di circa 2000 persone, altro momento importantissimo della mia formazione personale e professionale.

Ti volevo chiedere proprio di questo movimento, ne abbiamo parlato anche con Francesco Cara, che ci ha raccontato di averti conosciuto proprio durante uno dei vostri incontri. È molto bello vedere che comunità ricca e attiva si sia strutturata spontaneamente nel corso degli anni. 

Per quanto riguarda la sostenibilità digitale e le trasformazioni in corso, secondo la tua opinione cosa è necessario considerare per continuare sulla strada del miglioramento? 

Nel corso degli ultimi quattro o cinque anni ho iniziato a guardare all’impatto climatico come a qualcosa di non molto diverso da altri problemi che riguardano ambiente e società, e che affrontiamo quotidianamente.

È fin troppo semplice considerare la sostenibilità digitale solo come la mera progettazione di prodotti digitali green e performanti e fermarci a questo; la mia analisi si sta invece soffermando sempre di più su tutto ciò che gira intorno al consumo di energia e alle tipologie di realtà che ne fanno uso. 

Più analizzo e studio dati circa l’efficienza e il funzionamento delle infrastrutture e di quanto siano cambiate nel corso di circa dieci anni, più mi rendo conto (anche avendo letto molta letteratura accademica sull’argomento e tenendo in considerazione alcune leggi ancora in via di definizione), che è molto più utile al momento focalizzarsi sul “da dove”  proviene l’energia per far funzionare gli strumenti che utilizziamo ogni giorno, perché c’è già tantissimo lavoro all’attivo per rendere i computer e i servizi digitali più efficienti. 

Ecco in parte perché sto passando molto del tempo dedicato al mio lavoro con la The Green Web Foundation parlando di “Carbon Intensity”, un punto davvero cruciale sul quale bisogna soffermarsi attentamente; questo anche perché non è sempre possibile ottenere un servizio digitale interamente green che offra il massimo dei risultati, spesso non si hanno le possibilità economiche e le corrette conoscenze sulla materia che permettono di affidarsi a professionisti in grado di progettare un prodotto digitale green, efficiente al 100%.

In seconda battuta, perché se non si pensa attentamente alle ripercussioni del nostro lavoro o non si ha una buona conoscenza di come funziona il sistema di approvvigionamento dell’energia, nessun prodotto digitale, per quanto progettato con le migliori intenzioni, potrà inserirsi correttamente nella narrativa di un quadro più ampio – seguendo una corretta transizione all’energia rinnovabile – che coinvolge i tanti aspetti della sostenibilità: in qualche modo non si riuscirà a centrare l’obiettivo. 

Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a unirmi alla The Green Web Foundation, iniziando a divulgare e portare avanti i nostri valori e a lavorare a stretto contatto con organizzazioni e altre realtà che si occupano di digitale, nello sforzo comune di ottenere un internet fossil free entro il 2030.

Hai collaborato con il Clean Web, porti avanti tanti progetti e sei portavoce per The Green Web Foundation, ti va di parlarci anche di CAT, ClimateAction.tech? Credi che ci sarà una sua evoluzione in termini di definizione in NGO, per continuare a portare avanti questo vostro prezioso lavoro?

ClimateAction.tech esisteva già dal 2018; sono entrato in contatto con loro perché dopo aver lavorato tanto con Clean Web London e in Clean Web Berlin (una volta trasferitomi a Berlino), ho considerato che lo step più giusto per me in quel momento specifico fosse lavorare a qualcosa che potesse uscire dai confini europei, perciò mi sono messo in contatto con loro chiedendogli se fossero interessati a una collaborazione: al momento abbiamo costruito una comunità che conta circa 5000 elementi, cercando di essere presenza attiva in tanti Paesi. 

Man mano che continuiamo a crescere, creare una vera e propria entità giuridica sembra sempre più la strada giusta da percorrere per poter affrontare raccolte fondi o altri tipi di iniziative. Posso dire che potrebbero esserci novità nel prossimo futuro. Il nostro sogno è creare una realtà che funga da voce e megafono per gli operatori del settore tech, perché per fare davvero la differenza la cosa di cui veramente si ha bisogno sono in primis tecnici capaci, che paradossalmente non hanno molte possibilità di avere accesso a supporti e canali di aggregazione o espressione rispetto ad altri attori del settore. Talvolta soprattutto i dipendenti non riescono ad esprimere le proprie opinioni a pieno, magari per paura di perdere il posto di lavoro o perchè in contrasto con la visione dell’azienda in cui lavorano. Vorremmo essere per loro un punto di riferimento per interfacciarsi con le altre realtà esistenti e inserirsi in una narrazione che abbracci un quadro più ampio.

Se puoi portare avanti i tuoi valori all’interno del tuo lavoro quotidiano sicuramente saprai essere più efficace e motivato e il tuo lavoro avrà un impatto maggiore, senza dubbio, perché avrai la consapevolezza che il tuo intervento è parte del tessuto di un grande obiettivo globale. 

Inoltre non dimentichiamo che il tempo a nostra disposizione per effettuare un cambio di rotta efficace ci sta letteralmente sfuggendo di mano: abbiamo bisogno di essere operativi contemporaneamente e su più livelli per essere davvero efficaci.

Quale pensi sia la corretta definizione di Digital Sustainability?

Quando vedo persone parlare di Digital Sustainability il focus principale delle discussioni sembra girare prevalentemente intorno a due punti: il primo è il capire come ridurre l’effettivo ammontare delle emissioni dovute al digitale e il secondo riguarda il pensare a quanto potrebbe essere sistematico l’impatto ambientale di ogni singolo progetto. Possiamo dire che entrambi questi argomenti di discussione sono validi, ma trattano principalmente il come applicare in maniera efficace i principi della sostenibilità digitale e come mantenere per le generazioni future il tipo di prosperità di cui noi godiamo. 

Si discute di progettazione servers e siti web green, ma vorrei davvero vedere emergere discussioni più approfondite riguardo cosa scegliamo di fare con i servizi digitali di cui disponiamo e che tipo di comportamenti tendiamo a mettere in atto quando si parla di sostenibilità digitale. 

Questo perché credo che il nostro punto di forza più grande, nell’ottica di un miglioramento, sia riuscire a diffondere le nostre competenze sull’argomento e farle funzionare anche in sinergia con regolamentazioni, leggi, insieme all’interessamento di amministrazioni e governi. Tutto questo chiaramente unito a quanto stiamo già impegnandoci a fare per costruire un web sostenibile e prodotti digitali green, e credo che almeno in Europa ci sia un’ottima possibilità per veder questo scenario diventare realtà.

Per quanto mi riguarda abbiamo tre punti da tenere sempre in mente in modo prioritario:

  • Consumption: considera la quantità di risorse di cui hai bisogno per realizzare un progetto digitale.
  • Intensity: considera l’intensità, ovvero quanto inquinerai effettivamente con quella quantità di risorse utilizzate. Questo perché possiamo utilizzare la stessa quantità di risorse ma ottenere valori diversi in termini di inquinamento o diversi tipi di effetti negativi a seconda di molti fattori e variabili, come i tempi di utilizzo, o il tipo di provider che scegliamo di utilizzare.
  • Direction: Infine, dobbiamo considerare con attenzione verso quale mondo vogliamo muoverci, perché dal mio punto di vista la tecnologia è sostanzialmente un accelerante, accelera al massimo ciò che stiamo già vivendo nel presente, un amplificatore di qualunque idea o valore la società porti al momento attuale, e se non siamo preparati a confrontarci con questi valori o ideologie, è molto probabile che il moto di accelerazione dato dal digitale ci farà puntare verso ciò che è meno oggettivo, meno corretto, meno egualitario, quasi certamente più dannoso di quello che stiamo vivendo in questo momento.

Per questo motivo abbiamo creato e investiamo tanto tempo in Branch Magazine, per trattare questi argomenti e dare alle persone uno spazio di pensiero e discussione aperto.

Non dimentichiamo poi che la maggior parte degli utenti futuri non arriverà dall’Europa o dall’occidente in generale, bensì da altre parti del mondo: sarà per queste persone che progetteremo e lavoreremo nel futuro, e dobbiamo tenerne conto.

Cosa pensi della differenza che esiste tra l’approccio alla sostenibilità digitale di matrice UK o US rispetto a quello francese, sostanzialmente più olistica e che considera in modo attento altri parametri oltre alle emissioni di carbonio. Qual è la tua opinione?

In questo momento sto collaborando con Gauthier Roussilhe e stiamo facendo ricerca insieme.

La Francia ha sicuramente una dei panorami più sviluppati e interessati per poter parlare di sostenibilità, se paragonata agli Stati Uniti e direi anche alla Gran Bretagna, questo perché c’è stato un più ampio investimento per la gestione di queste problematiche, anche a livello governativo.

Bisogna sottolineare poi che in Francia in molti modi hanno già un’economia relativamente low carbon: molta della loro elettricità arriva già parzialmente da fonti rinnovabili, ciò significa che hanno in qualche modo già affrontato e in parte trovato soluzioni per tanti di quei problemi che altrove sono ancora al centro di grandi dibattiti.

Apprezzo molto il loro lavoro e credo si possa imparare davvero tanto dal loro percorso.

Ultima domanda: come pensi che cambierà lo scenario della sostenibilità digitale nei prossimi anni?

Credo accadranno probabilmente due cose: ci sarà una più ampia e diffusa comprensione dell’industria dei servizi digitali e dell’impatto sul mercato energetico, e mi aspetto che si arrivi alla totale trasparenza su come effettivamente consumiamo energia e il suo impiego nel mondo digitale.

Mi auguro poi che grazie allo sforzo di tutti gli attori in campo si riesca a creare un linguaggio aperto a semplice, utilizzabile anche dai non addetti ai lavori per trattare apertamente questi argomenti e parlare di sostenibilità digitale.