Paradossi e sfide ambientali della digitalizzazione

14 Febbraio 2022

Digital Sustainability: una serie di interviste e di riflessioni scritte dai maggiori esperti mondiali di sostenibilità digitale. L’obiettivo di questa rubrica è quello di sensibilizzare sul rapporto tra ambiente e sfera digital, condividere idee, opinioni e pillole informative; capire come un tema oggi sconosciuto in Italia, venga recepito all’estero. Pubblichiamo in questo spazio una serie di riflessioni di Gauthier Roussilhe dedicate alla Sostenibilità Digitale e riproposte in traduzione italiana da Piano D.

Questo articolo è il primo di una serie di post pubblicati da Gauthier Roussilhe e che prendono in esame diversi aspetti legati al tema della sostenibilità digitale.

Questo il corretto ordine di lettura:

Paradossi e sfide ambientali della digitalizzazione

Gauthier Roussilhe, 23 luglio 2020

Sono passati poco meno di quattro anni da quando ho iniziato a lavorare sul tema dell’impatto ambientale del settore digitale: in questo spazio di tempo ho potuto contribuire in parte alla ricerca e al discorso pubblico.

Ho partecipato a diversi incontri tra i molti attori che operano in questo campo, pubblici e privati, a numerosi confronti con esperti, workshop, e anche grazie alla mia attività lavorativa ho realizzato quanto sia complessa la dinamica che si sta sviluppando intorno al tema della sostenibilità digitale.

Poiché ci stiamo avvicinando alla chiusura di una nuova fase legislativa dedicata proprio a questo tema, con il disegno di legge in fase di studio in Parlamento, mi sembra interessante condividere alcuni punti di vista e osservazioni.

Questo importante traguardo che abbiamo raggiunto è quanto di più necessario al momento, considerato che la fine di questa fase legislativa indica una nuova presa di coscienza da parte di importanti attori economici, pronti a partecipare con investimenti a nuove “opportunità di business“.

È importante definire chiaramente quali valori ci guidano, perché in questa fase delicata c’è il rischio che le tematiche in analisi e le buone risoluzioni iniziali vengano in qualche modo distorte.

Questa mia retrospettiva sull’argomento sarà organizzata in diversi articoli che affronteranno alcuni dei temi più importanti: una visione globale sui punti principali riguardo la sostenibilità digitale e i paradossi che possono emergere dopo un’analisi più approfondita (in questo primo articolo), i limiti del dibattito sul mondo digitale, una critica e un consiglio sull’eco-design digitale, e infine, uno sguardo alle prospettive di ricerca forse più promettenti.

In questo articolo parleremo di:

  • Paradossi curiosi
  • Alcuni consigli per la ricerca
  • intuizioni
  • La fine del regime di eccezionalità del digitale

Paradossi curiosi

Il mio lavoro consiste in parte nel comprendere e descrivere come si inserisce il funzionamento del settore digitale all’interno del quadro della transizione ecologica. Durante questi anni grazie alla mia professione, sono stato in grado perciò di identificare diversi paradossi che penso sia importante condividere.

Questi paradossi non sono necessariamente risolvibili al momento attuale, ma la temporanea assenza di una soluzione percorribile non impedisce di riconoscere la loro esistenza e di determinare strategie per identificare soluzioni alternative che possano funzionare nel lungo periodo.

Quando parliamo di digitale prendendo in considerazione il punto di vista ambientale ho l’impressione che sia necessario focalizzare l’attenzione su due punti fondamentali.

Il primo riguarda il dibattito relativo alla dematerializzazione, che accompagna questo settore ormai da almeno 30 anni – questo implica descrivere bene le condizioni reali delle infrastrutture e dei servizi digitali; il secondo riguarda la riconsiderazione del valore delle teorie “antigeografiche”, come ad esempio il concetto di villaggio globale mutuato da Marshall McLuhan, che implica che le reti di comunicazione siano in grado di eliminare le distanze e di creare uno spazio unico e indifferenziato, senza storia e senza geografia: allontanandoci da queste teorie saremmo in grado di “localizzare” la materialità del digitale, perché le infrastrutture digitali non sono distribuite uniformemente sul globo, e di conseguenza concentrano il loro impatto in determinati aree, in base alla loro localizzazione geografica.

Impronta globale e localizzazione

Le stime complessive sulle quali ci basiamo oggi per le nostre analisi, si riferiscono generalmente a terze parti tecniche (data center, reti di trasmissione, apparecchiature utente), e a fattori di impatto (consumo di energia primaria o elettrica, emissioni di gas serra, consumo di acqua e risorse). Quando affermiamo però, ad esempio, che i data center producono l’1% del consumo globale di elettricità o che il settore digitale emette dal 2% al 4% delle emissioni globali di gas serra, in definitiva non diciamo nulla di specifico perché non riportiamo anche il “come” e il “dove” tutto ciò finisca per impattare in modo effettivo sull’ambiente.

Qualsiasi numero globale presuppone che i dati ricavati vengano distribuiti uniformemente sull’intero globo, in una visione “non-localizzata” delle attività digitali: se consideriamo in termini globali il valore dell’1% di consumo elettrico dei data center questo ci potrà sembrare un valore poco allarmante, ma si tratta in realtà di un numero concentrato con forza in alcune aree specifiche, quelle dove effettivamente di trovano localizzati i data center.

Se proviamo facciamo questa analisi utilizzando un metodo legato alla localizzazione, notiamo immediatamente come la domanda energetica dei data center sia molto concentrata e imponga richieste importanti – schema di distribuzione elettrica, reti idriche, trattamento del suolo e molto altro – capaci di impattare sullo sviluppo urbano, questo accade in molte città, sia in Europa che negli Stati Uniti.

In un mondo ideale, una stima globale dovrebbe sempre essere accompagnata da una valutazione territoriale dei consumi (quindi con dati qualitativi), per comprendere concretamente le problematiche che ci troviamo effettivamente ad affrontare.

Parlerò della necessità di un cambio di approccio nel quarto articolo di questa serie.

La necessità di ottenere dati ambientali

Uno dei maggiori problemi che si incontrano quando si cerca di analizzare l’impatto ambientale del settore digitale è la disponibilità o l’esistenza di dati sull’argomento.

Le catene di produzione, fornitura e distribuzione, insieme alle infrastrutture digitali sono strutturalmente “opache”, per molti motivi diversi. Innanzitutto, la complessità dei dispositivi prodotti aumenta notevolmente il numero di fornitori coinvolti e, in secondo luogo, laddove determinate infrastrutture richiedono pochi materiali diversi ma in grandi quantità, la produzione di sistemi digitali ha invece bisogno di molti metalli diversi ma in quantità relativa (ad eccezione dei metalli di grandi dimensioni).

Per fare un esempio pratico, 50 differenti metalli all’interno di uno smartphone significano un numero quasi altrettanto alto di fornitori, fornitori che subappaltano ad altre realtà, che lavorano anch’esse seguendo questo stesso esatto schema, in una catena lunghissima e molto difficile da ricostruire.

Per fare un esempio pratico, dal 2013 Fairphone ha difficoltà a tracciare le filiere di 10 metalli utilizzati per i propri smartphone.

Consideriamo poi che il suddetto subappalto è il risultato di una corsa al ribasso imposta dai colossi del settore che cercano di ridurre e controllare il più possibile i propri costi. In un iPhone 6, le materie prime rappresentano un costo di $ 1,03 secondo 911 Metallurgist: è quindi difficile immaginare che la loro estrazione possa essere effettuata con grande cura e con tutta la dovuta attenzione all’ambiente.

In ultimo, ci troviamo a parlare di un settore ipercompetitivo, in cui i grandi player mantengono la maggior parte dei loro dati riservati. L’aggregazione dei dati, infatti, è anche un ottimo modo per renderli inutilizzabili perché non è tanto la loro somma che risulta fondamentale per un’analisi efficace, quanto invece gli elementi aggiunti e la loro utilizzo individuale.

Digitale usa e getta vs prodotti che durano nel tempo

Se il nostro obiettivo è ridurre l’impatto del settore digitale, è chiaro come si debba lavorare per produrre meno apparecchiature ma far sì che queste possano assolvere al loro compito quanto più a lungo possibile.

È quindi necessario promuovere la standardizzazione dei componenti, la riparabilità dei dispositivi, e la diffusione delle informazioni tecniche necessarie per fare scelte d’acquisto consapevoli. Qualcosa che è in definitiva vicino ad altre pratiche che già esistono nell’IT (software libero, reti autogestite, ecc.).

È necessario considerare prodotti e servizi digitali non solo in termini di progresso tecnico, ma con la consapevolezza che stiamo parlando di strumenti fallibili. Tenere a mente la loro fallibilità dovrebbe portarci a non caldeggiare l’adozione di questi sistemi in tutti i contesti, specialmente quelli in cui non hanno una rilevanza concreta.

Molte persone si dichiarano amanti della tecnologia perché restano al passo con le ultime generazioni di dispositivi digitali (smartphone, orologi, altoparlanti, televisori, ecc.).

Mi sembra che questo tipo di atteggiamento d’acquisto sia sintomo non tanto di un interesse particolare verso il mondo digitale quanto piuttosto di un apprezzamento per la praticità e il supporto che i device digitali ci offrono; in molti casi inoltre il perché dell’acquisto si basa su motivazioni superficiali come lo status sociale o l’immagine che si ricava dal possedere uno di questi dispositivi.

Diritti digitali dei non-digitalizzati

Vorrei concludere questo primo elenco con un ultimo paradosso che riprende quanto detto sopra. Si parla spesso di “diritti digitali” ovvero diritti per garantire parità di accesso a reti e servizi digitali, rispetto della privacy degli utenti Internet e lotta alla censura: ma la legge digitale non dovrebbe difendere anche i diritti di chi non vuole utilizzare i mezzi digitali?

Se un servizio pubblico essenziale è interamente digitale, chi difende i diritti di chi vuole accedere al servizio con mezzi convenzionali? Chi garantisce che la digitalizzazione di un servizio non porti alla sua scomparsa fisica e quindi alla sua scomparsa per tutti coloro che non hanno i mezzi di utilizzo della rete, i mezzi socio-economici e culturali, o perché le condizioni locali non lo consentono?

La recente inondazione di Zhengzhou in Cina ha fatto crollare parte della rete Internet locale, bloccando i pagamenti giornalieri tramite Alipay, l’accesso alle biciclette tramite QR, e molto altro. Quindi, la legge digitale viene utilizzata anche per garantire che i cittadini abbiano sempre un’alternativa credibile a qualsiasi servizio o prodotto completamente digitalizzato? Così come il codice della strada regola la circolazione e il traffico di veicoli di ogni tipo (bicicletta, auto, ecc.) sulle varie strade, la legge digitale dovrebbe disciplinare il pieno accesso a chi ha scelto di navigare diversamente?

Alcuni consigli per la ricerca

Oltre a tracciare i contorni di alcuni paradossi del settore digitale, è importante dare qualche altro consiglio su come approcciare gli studi su questo argomento, sia che lo si faccia per curiosità o passione, sia nel caso di ricerca accademica.

Un caso di studio non è una ricerca empirica

Il settore digitale comprende una moltitudine di attori con risorse significative e, in particolare, i mezzi per trasmettere la propria ricerca accademica o non accademica, oppure le proprie pubblicazioni.

Di fronte alla mancanza di dati aperti, si potrebbe essere tentati di utilizzare casi di studio forniti da produttori di apparecchiature, società di consulenza o altri. Va ricordato, tuttavia, che gli studi di casi professionali non sono ricerca empirica e non sono soggetti al processo di pubblicazione scientifica. Inoltre, lo scopo di questi casi studio è anche quello di evidenziare l’implementazione di un particolare sistema in vista di eventuali promozioni commerciali.

Gli aspetti più opachi dell’implementazione, della manutenzione, o addirittura dell’utilizzo nel tempo di un determinato servizio digitale raramente vengono sottolineati. Infine, un caso di studio non può essere utilizzato per estrapolare dati relativi a eventuali impatti negativi perché ogni contesto di distribuzione è troppo specifico (vanno considerati tanti fattori come, lingua, risorse, gestione, cultura sociale, ecc.) per essere standardizzato a livello globale.

Non credete (troppo) alle pubblicità di settore

Il settore del digitale e delle nuove tecnologie è perennemente in fermento con articoli che promettono la rivoluzione di tale servizio o tale prodotto. Queste affermazioni enfatiche sono talvolta riportate a sostegno di questi annunci, inserite in un meccanismo che funziona per lo spazio mediatico e aiuta ad attrarre il capitale necessario per le aziende, ma che non ci aiuta a riportare i fatti con precisione.

Alcune tecnologie pensate per rivoluzionare il mondo non usciranno mai dai loro laboratori o verranno utilizzate per un progetto molto meno glorioso di quello annunciato. Piuttosto, l’integrazione concreta delle nuove tecnologie digitali sembra essere laboriosa, lenta e molto più noiosa di quanto si possa immaginare.

In breve, se la multinazionale X afferma che rivoluzionerà il settore o il servizio Y con la tecnologia Z in N anni, ci sono buone probabilità che stia solo cercando più capitale per finanziarsi o per creare una nuova attività.

Slide from an intervention at the CEMTI Paris 8, on the left the elements made opaque, on the right the elements made visible (Credit: Gauthier Roussilhe)

La spiegazione di questo grafico è stata oggetto di un’intera lezione, quindi non la esaminerò tutta qui, altrimenti sarete sopraffatti dalla scrittura. Tuttavia, posso spiegare alcuni meccanismi interni.

In primo luogo, ho cercato di spiegare come il presidio sui consumi elettrici e sulle emissioni di carbonio permetta di opacizzare il discorso sull’intera impronta ambientale (produzione, uso, consumo delle risorse, acqua, energia primaria, emissioni di gas serra).

Parte di questa spiegazione può essere letta nel mio seguente articolo sui data center. Con il senno di poi, mi sembra che questi regimi di visibilità e opacità siano organizzati in un arsenale di testi pubblici: norme, convegni, discorsi, comitati di esperti, ecc. Dobbiamo quindi imparare a studiare il settore digitale in negativo, vale a dire interessarsi molto di più al buio (a ciò che non vediamo ed è opacizzato) che alla luce, pena l’amplificazione di procedure e comportamenti insostenibili sul lungo termine.

Studia i colli di bottiglia

Analizzando il settore è molto facile disperdersi e perdere tempo ed energie soffermandoci su una determinata problematica con il supporto dei pochi dati disponibili, ottenuti grazie a ottime – ma non sufficienti – ricerche sul campo.

Il mio consiglio è di concentrarsi sui colli di bottiglia; quando troviamo una “strozzatura” ci troviamo di fronte a un indicatore significativo che designa aree geografiche o strutture materiali dove i vari flussi della catena di funzionamento del digitale (materiali, risorse, produzione, capitale, ecc.) si concentrano.

È stato in questo modo che sono approdato all’analisi del funzionamento delle industrie di produzione di circuiti integrati a Taiwan: il 60% delle spedizioni mondiali di circuiti integrati proviene dall’isola e questi componenti (compresi i semiconduttori) sono uno degli elementi fondanti della digitalizzazione. In uno spazio geograficamente ristretto dove passa una tale quantità di flusso, le condizioni materiali di produzione e gli impatti ecologici e sociali sono molto più visibili e il lavoro di ricerca sembra “più facile”.

Intuizioni

Questi pochi anni di esperienza non mi hanno certo permesso di comprendere appieno come evolveranno le sfide ambientali del settore digitale. Alcune osservazioni e idee, però, si sono cristallizzate in alcune intuizioni che vorrei condividere qui, ovviamente sperando che il futuro non mi dia ragione.

L’acqua sarà un problema ancora più gravoso rispetto a quanto è già stato calcolato

L’iper-attenzione al carbonio e all’elettricità nasconde efficacemente altri importanti problemi ambientali.

Tra tutti questi problemi, mi sembra che l’impatto legato al consumo dell’acqua per il funzionamento del digitale possa diventare molto gravoso nel prossimo futuro, in particolare in aree molto concentrate: luoghi di estrazione (approvvigionamento idrico per la pulizia e la purificazione del minerale); la fabbricazione di circuiti integrati (acqua ultrapura, risciacquo di wafer, ecc.); raffreddamento di data center in aree desertiche (per l’evaporazione dell’acqua); e l’inquinamento delle acque (rifiuti minerari e industriali, discariche, ecc.).

Digitale vs agricoltura

Il fabbisogno idrico di alcuni player del digitale potrebbe scontrarsi con quello del settore che ne consuma di più al mondo: il settore agricolo.

In particolare, alcuni player digitali potrebbero competere con i player agricoli per pompare acque sotterranee in zone di stress idrico e per la raccolta di acque superficiali (serbatoi, ecc.). Per riportare subito un esempio pratico, nell’aprile 2021, il governo taiwanese ha chiesto la chiusura sovvenzionata dell’irrigazione di 74.000 ettari di terreni agricoli per mantenere l’approvvigionamento idrico alle fabbriche di semiconduttori nel nord dell’isola. Inoltre, gli scarichi industriali degli stabilimenti manifatturieri potrebbero contaminare più gravemente fiumi e torrenti utilizzati per le attività agricole. Anche in questo caso l’esempio di Taiwan è molto interessante ed è stato esplorato da Hua-Mei Chiu.

In generale, le attività industriali, considerato l’insieme di tutti i settori (alimentare, chimico, metallurgico, ecc.) hanno quasi sempre creato questo tipo di situazione quindi non sarebbe sorprendente se il fenomeno si ripetesse. Sfortunatamente, sarà molto difficile per le piccole fattorie e piccole realtà produttive combattere contro i giganti digitali per l’accesso all’acqua.

A livello globale, il fatto che Huawei sia ora sempre più interessata al settore agricolo e alle Smart Farming Technologies (SFT) non è banale. Ciò consentirà, in definitiva, di arbitrare gli usi competitivi interni garantendo al contempo l’ottenimento di capacità produttive agricole, campo in cui i grandi player digitali si sono raramente cimentati ma che si rivelerà sempre più decisivo negli anni a venire.

Mettere fine al regime eccezionale

Questa presentazione aggiorna l’obiettivo a medio e lungo termine degli attori che lavorano sulla questione ambientale della tecnologia digitale e non solo.

La domanda strategica da considerare oggi mi sembra essere: come porre fine al regime di eccezionalità del settore digitale? Tutto quello che ho descritto sopra sono in definitiva solo alcuni pezzi del puzzle che descrivono questa dieta.

Questa “eccezionalità” impedisce oggi di contestare l’asse di sviluppo del settore digitale e rallenta notevolmente la seria considerazione delle questioni ambientali che provoca. Tuttavia, guardando da vicino la storia della tecnologia del XVIII secolo e la storia dello sviluppo industriale, il settore digitale appare seguire un percorso piuttosto tradizionale. Certamente sta trasformando gli stili di vita di molte società sulla Terra più o meno rapidamente, ma le sue condizioni materiali di distribuzione e produzione sono simili a molte altre industrie che sono state regolamentate in precedenza.

Il settore mantiene la sua eccezionalità perché gode un effetto pubblicitario permanente: tale e tale applicazione tecnologica digitale rivoluzionerà tale e tale cosa. Un sensazionalismo necessario anche per mantenere i flussi di capitale che vanno ad alimentare lo sviluppo del settore.

Allo stesso modo, il settore digitale si è associato a un’idea mentale che lega il progresso tecnologico al progresso sociale, descriverò più dettagliatamente alcuni fattori che rendono difficile il dibattito nel seguente articolo.

In conclusione, penso che il mio lavoro sulla materializzazione e localizzazione del settore digitale miri molto modestamente a partecipare a uno sforzo necessario a mettere in discussione il processo di digitalizzazione.

Articolo originale: Gauthier Roussilhe | Paradoxes et enjeux environnementaux de la numérisation