The Sustainable UX Network: intervista a Thorsten Jonas

16 Marzo 2023

Digital Sustainability: una serie di interviste e di riflessioni scritte dai maggiori esperti mondiali di sostenibilità digitale. L’obiettivo di questa rubrica è quello di sensibilizzare sul rapporto tra ambiente e sfera digital, condividere idee, opinioni e pillole informative; capire come un tema oggi sconosciuto in Italia, venga recepito all’estero.
Thorsten Jonas e Nicola Bonotto

Ciao Thorsten! Per prima cosa grazie di essere qui con noi oggi, è un piacere poter fare quattro chiacchiere con te parlando di Sostenibilità Digitale e del The Sustainable UX Network

Iniziamo con le domande ti va? Vorresti raccontarci qual è il tuo backgroud?

È un piacere rispondere, mi chiamo Thorsten Jonas e mi occupo di UX da quasi 20 anni; ho studiato Digital Media all’università, quindi ho anche un buon background in programmazione e Design, conosco queste materie in modo approfondito.

Il mio primo approccio con la UX design è stato quasi accidentale, tramite il lavoro con un’agenzia; ho avuto i primi contatti con questa materia proprio in quel contesto.

Onestamente se penso a quel momento mi rendo conto che forse non avevo un’idea chiara di cosa fosse lo UX design, ma ho scelto di provare e mi sono accorto che era esattamente quello per cui avevo studiato all’università, ed eccomi qui.

Sono stato il primo UX designer dell’agenzia e ho praticamente costruito il dipartimento dedicato alla UX: ho guidato a lungo questo gruppo, lavoravamo per clienti molto importanti, tv pubbliche, compagnie di media, e molte altre realtà. Sono stati tempi e momenti molto belli per me, l’agenzia è cresciuta nel corso degli anni, dedicando i suoi sforzi anche al mobile.

Un lavoro in continua metamorfosi che non è mai stato noioso ai miei occhi, e che mi ha soprattutto fatto imparare tantissimo.

Cosa ti ha spinto ad interessarti alla sostenibilità ed in particolare alla sostenibilità digitale?

Ad un certo punto ho iniziato a chiedermi se con il mio lavoro avessi potuto fare qualcosa che avesse un significato, in fin dei conti quello della UX è un campo molto versatile, con il quale si può lavorare in molti modi diversi.

Nel 2018 mi sono sentito un po’ in difficoltà, il lungo periodo di lavoro mi ha affaticato e tolto energia: ho scelto di ricaricare le batterie per qualche mese e al mio ritorno non mi sono sentito più in linea con le modalità di lavoro di sempre.

Ho deciso quindi di dedicarmi ad altro, ho avuto i primi contatti con Adobe e sono stato invitato a parlare di Responsability, UX e Design in alcuni eventi. Direi che da qui è iniziato tutto.

Mi è capitata la possibilità di fare alcuni interventi per parlare di Burn Out e Mental Health, che se ci pensiamo attentamente sono altri punti importantissimi assolutamente collegati alla sostenibilità.

Da qui coma siamo arrivati al The Sustainable UX Network?

Ho iniziato a pensare di creare un Sustainable UX Manifesto da poter presentare agli eventi dove ero invitato a parlare, cosa che mi ha reso ancora più legato a questo argomento.

Ci sono stati tanti piccoli passi che mi hanno portato a quello per cui lavoro oggi: la sostenibilità è un progetto che dura una vita intera.

Molto spesso si comincia solo facendo qualcosa di significativo, anche qualcosa di molto piccolo, ma quel piccolo passo ti spinge dritto lungo questo percorso.

Ho contattato altre valide persone per lavorare al manifesto come lo avevo in mente, perché iniziavo a realizzare che più che di un manifesto ci fosse la necessità di un libro che illustrasse come effettivamente approcciarsi in modo pratico al digitale sostenibile.

Nel 2021 sono stato di nuovo invitato a parlare in pubblico e ho usato questo palcoscenico come una possibilità in più per parlare di nuovo di questi argomenti e della necessità di un Sustainable UX Playbook, chiedendo se qualcuno volesse effettivamente aggregarsi ed entrare a far parte del progetto per migliorarlo e sviluppare nuove idee.

Siamo riusciti a riunire tantissime persone da ogni parte del mondo in piccoli team di lavoro, in modo che potessero dare il loro contributo nel modo più libero possibile.

Finalmente lo scorso anno abbiamo raggiunto una concretezza maggiore.

Quello che intento dire è che abbiamo realizzato come moltissime persone fossero interessate a dare il loro contributo. E piano piano siamo diventati una community che ad oggi conta più di 1200 membri attivi, senza sponsorizzare mai la cosa.

Ecco perché abbiamo rinominato tutto questo con il nome di “The Sustainable UX Network”, perché ora siamo qualcosa di molto più grande.

Il punto è soprattutto condividere punti di vista e, anche se è ancora un “progetto”, per me è anche qualcosa di molto diverso, partecipativo, che raccoglie le idee di tanti professionisti con le loro personali competenze.

Abbiamo capito che quel che per noi è ormai una consapevolezza consolidata così non è per le persone non addette ai lavori, serve una piccola spinta gentile, qualcosa che faccia accendere in loro una scintilla, il comprendere che esiste un problema e che è necessario fare qualcosa per risolverlo.

Mi rendo conto dai miei interventi pubblici – che vanno avanti ormai da più di un anno – che la maggior parte delle persone non aveva idea del loro impatto dal punto di vista ambientale e sociale e soprattutto digitale.

Ecco a cosa serve il The Sustainable UX Network, e onestamente non so cosa saremo o diventeremo nel resto dell’anno e penso che questo sia un’ottima cosa. A volte le cose richiedono il loro tempo.

È un luogo di confronto e di sviluppo di idee incredibile, e ho imparato tantissimo lungo questo percorso di crescita e creazione, così come tutti i partecipanti a questo progetto: sviluppare e diffondere idee non è qualcosa di trascurabile, anzi è fondamentale, perché siamo ancora agli inizi.

Ci sono tantissime cose da fare, cosa che può sembrare a volte un peso troppo impegnativo da sostenere, ma gli ambiti di intervento sono talmente tanti e diversi che è possibile trovare sempre qualcosa per offrire il proprio contributo.

Quello che trovo meraviglioso è il poter fare la conoscenza con persone affini, che condividono con me le stesse ambizioni nei confronti della sostenibilità, sia che da anni si occupino di questo tema, sia che si siano approcciati da pochissimo alla materia.

Parliamo sempre di persone che cercano di fare del bene e cambiare le cose in meglio.

Ultima domanda: cosa significa per te sostenibilità digitale?

Ottima domanda.

Tantissime cose in realtà.

La cosa più importante del lavorare in funzione della sostenibilità digitale è ricordare che le emissioni di CO2 sono solo un pezzo di un puzzle molto più grande.

Dobbiamo avere chiaro che la nostra vita deve essere sostenibile, al di là del concetto ambientale; in particolare il lavoro, e qui parlo delle tante difficoltà che possiamo affrontare nella nostra vita, burn out, depressione: la nostra salute mentale vale quanto quella del nostro pianeta.

E queste cose sono ancora fuori dal radar purtroppo, ma tutte possono assolutamente inserirsi sotto il cappello del concetto di sostenibilità.

Trovo che sia un grosso aiuto – e questo è qualcosa di cui parlo molto durante i miei interventi – pensare che dobbiamo smettere di progettare solo mantenendo il nostro focus sugli utenti, (perché giustamente progettare in ottica UX ti spinge a mettere al centro l’utente), ma dobbiamo sempre ricordare tutti gli altri aspetti che sono legati all’esperienza utente e che impattano, seppur in modo indiretto, sulla società e sull’ambiente, alimentando di rimbalzo sprechi e spesso nuove tipologie di disagi o disuguaglianze sociali.

Siamo ancora agli inizi e non dobbiamo fermaci: ad esempio dobbiamo lavorare anche sulla disuguaglianza sociale, essere trasparenti in quello che facciamo inserendo informazioni e dati, sperando in un effetto domino positivo, che ispiri gli altri a fare la stessa cosa.

Quello a cui vorrei lavorare nei prossimi mesi è: come possiamo misurare la sostenibilità di prodotti digitali in base alla loro user experience, e non solo in termini energetici?

So che sembra un concetto utopico ma quando inizio a ragionare sulla sostenibilità digitale e raggiungo un obiettivo, tendo sempre a cercare di capire come allargare il discorso agli aspetti spesso dimenticati.

La sfida di oggi credo sia quella di lavorare portando avanti tutti gli ambiti e le sfaccettature che esistono e nella sostenibilità, come ad esempio e soprattutto, la salute mentale.

Sarà una lunga lotta, ma anche questi aspetti sono a tutti gli effetti “Sostenibilità Digitale”.

Fondamentale per me è la trasparenza nelle misurazioni e il portare avanti un’idea di Sostenibilità che includa davvero ogni ambito di impatto.

Ho sempre amato scoprire nuove tecnologie perché sono interessanti, ma vedo anche le cose in maniera critica: ad esempio su Chat GPT la mia reazione è stata da subito critica, mi sono chiesto che bisogno va a coprire? Dove ci porterà? Chi lo ha creato?

Bisogna sempre pensare a che bisogno copriamo quando progettiamo qualcosa.

Il mondo sta cambiando velocemente e in modo drastico; io sono cresciuto senza troppa tecnologia negli anni ‘80, ricordo ancora il mondo analogico e posso fare comparazioni critiche con le novità che appaiono oggi nel mondo digitale.

Dobbiamo domandarci come vengono usate le tecnologie e chi le controlla, sempre.

Non ci poniamo abbastanza queste domande: siamo – temo – l’ultima generazione che può effettivamente porsi questo tipo di domande perché le nuove generazioni sono nate dentro al mondo digitale.

Siamo a un punto critico ed è necessario creare maggiore consapevolezza su questi temi.

Dobbiamo spingere le persone a porsi domande, a dedicarsi al pensiero critico.

Soprattutto dobbiamo essere attenti a cosa produciamo e creiamo nel digitale, non tutte le idee sono buone e sane per le prossime generazioni.