Le origini della Sostenibilità Digitale: Piano D intervista Tim Frick

12 Novembre 2021

Digital Sustainability: una serie di interviste realizzate dal team di Piano D in collaborazione con Seeweb, ai maggiori esperti mondiali di sostenibilità digitale. L’obiettivo di questa rubrica è quello di sensibilizzare sul rapporto tra ambiente e sfera digital, condividere idee, opinioni e pillole informative; capire come un tema oggi sconosciuto in Italia, venga recepito all’estero.

Ciao Tim, è un piacere poter parlare con te! Possiamo definirti un pioniere del “Sustainable Web”, ti andrebbe di parlarci della tua esperienza e di come sei arrivato ad approcciare queste tematiche?

Ho fondando nei tardi anni ’90 un’agenzia digitale – Mightybytes – che si trova a Chicago e che è una realtà certificata B Corp: il nostro scopo primario è quello di collaborare con altre agenzie certificate B Corp, associazioni, imprese, organizzazioni non profit, e tutte quelle realtà che hanno la nostra stessa mission e portano avanti i nostri stessi valori, per aiutarle a risolvere problemi e ad amplificare l’impatto del loro lavoro, sempre senza perdere di vista obiettivi di marketing e business.

Quando Mightybytes si è certificata per la prima volta come B Corp nel 2011, avevamo appena iniziato a pubblicare rapporti e studi sull’enorme impatto ambientale di Internet. Poiché la creazione e la manutenzione di prodotti digitali è fondamentalmente la base del nostro lavoro abbiamo scelto di lavorare sull’identificazione di nuovi modi per progettare soluzioni che fossero a basse emissioni di carbonio e allo stesso tempo offrissero prestazioni ottimali.

Abbiamo ricevuto dalla Camera di Commercio locale la nostra prima certificazione ambientale, che è stata il primo di una serie di passi lungo il cammino che percorriamo ancora oggi.

Per diventare una realtà certificata B Corp, abbiamo affrontato un processo di selezione rigorosissimo. Il passare da una certificazione locale – precisa e accurata – ma basata principalmente su procedure standard basiche a una certificazione B Corp, che non si limita alla valutazione delle procedure legate alla sostenibilità ambientale ma che passa al vaglio anche tanti altri fattori, come il trattamento riservato ai dipendenti,  il coinvolgimento a sostegno della comunità, la tipologia di clienti con i quali si sceglie di lavorare, e tanto altro ancora, ci ha inserito in un ingranaggio molto più grande e complesso.

Le realtà certificate B Corp aderiscono ai più elevati standard verificati di prestazioni sociali e ambientali, di trasparenza e responsabilità: l’obiettivo primario del nostro movimento è costruire un’economia rigenerativa, equa e inclusiva.

Questa importantissima certificazione ci ha aperto gli occhi su come utilizzare i principi della sostenibilità per contribuire con il nostro lavoro quotidiano a ridurre l’impatto ambientale del digitale: il nostro focus è sempre stato questo, ma se penso al mio approccio alla sostenibilità di quindici anni fa mi rendo conto di quanto oggi interpreti le cose in modo diverso.  

Per molto tempo ci siamo dedicati soprattutto a cercare di capire come ridurre le emissioni di carbonio e a mantenere comportamenti virtuosi nei confronti dell’ambiente, parlo non solo di riciclo ma anche di tutta quella serie di procedure standard necessarie a una transizione green che puoi facilmente immaginare e che effettivamente non abbiamo mai smesso di curare. C’è da aggiungere, però, che abbiamo vissuto una grande trasformazione e fatto tanti passi in avanti in questi ultimi quindici anni, guadagnando giorno dopo giorno una più ampia comprensione di come effettivamente operare per il meglio riguardo la sostenibilità.

Abbiamo cominciato a lavorare a quello che nei nostri giorni viene chiamato “Impact Business Model”, concentrandoci su come riuscire a creare cambiamenti positivi per l’ambiente sempre allineati a obiettivi di business.

Il primo libro che ho letto sulla Sostenibilità Digitale è il tuo “Designing for Sustainability”. Ci racconti da dove è nata l’idea per lo sviluppo di questo libro?

Dopo aver discusso per la prima volta di web design sostenibile e argomenti correlati con alcuni dei nostri clienti, ci siamo subito resi conto che non avevano idea di cosa stessimo parlando. Questo accadeva nel 2012 e nel 2013. La maggior parte di loro aveva l’impressione che le scelte digitali fossero scelte più ecologiche.

Anche se in alcuni casi è vero, il digitale in sé e per sé non è una soluzione sempre a impatto zero: ci siamo resi conto che la mancanza di informazioni ed educazione su questo argomento era il nostro più grande ostacolo, quindi abbiamo deciso di fare attivamente qualcosa per risolvere questa problematica.

Di conseguenza abbiamo dedicato molto del nostro impegno in formazione ed educazione, diffondendo su più larga scala questi argomenti che sembravano così poco conosciuti; questo è uno dei motivi che ci hanno portato ai TEDx Talk e, infine, anche al mio libro.

Innanzitutto, abbiamo diffuso via blogpost tante informazioni specifiche, dall’hosting ecologico al miglioramento delle prestazioni delle pagine, e tanti altri argomenti sulla sostenibilità digitale. Nel 2013, abbiamo lanciato uno strumento gratuito chiamato “Ecograder”, per aiutare le persone a comprendere meglio l’impatto ambientale dei loro prodotti e servizi digitali.

Ho anche tenuto – come ti accennavo prima – un TEDx Talk sulla Sostenibilità Digitale per la Bentley University negli Stati Uniti. Da questo lavoro è derivata la bozza di un libro, che alla fine è finito nelle mani di un editore, O’Reilly Media: “Designing for Sustainability” è il mio quarto libro, nato in un momento della mia vita professionale dove avevo ormai una chiara comprensione di come funzionava il percorso verso la sostenibilità.

Ecograder è stato il primo strumento che ho utilizzato, e che utilizzo ancora oggi, per valutare l’impatto ambientale dei siti web che sviluppo. Ci racconti come è nato e quale sarà la sua evoluzione?

Come ti accennavo poco fa, abbiamo lanciato “Ecograder” nel 2013 inizialmente come strumento educativo.

La maggior parte delle persone all’epoca non capiva cosa fosse la sostenibilità digitale, oppure come inserirla nel proprio flusso di lavoro. Ecograder è stato progettato per essere semplice e chiaro, utilizzabile da chiunque in maniera efficace, e dal suo lancio è stato usato per la scansione di decine di milioni di URL  aiutando molte persone a migliorare i propri siti web. Tuttavia sono passati alcuni anni e alcune delle sue metriche sono obsolete. Sono emersi nuovi metodi per migliorare le prestazioni e ridurre le emissioni. Siamo una piccola agenzia digitale, quindi è difficile ritagliarsi del tempo per mantenere aggiornata la nostra “attività secondaria”, ma all’inizio di quest’anno, abbiamo svolto diverse ricerche di mercato per dedicarci a una sua riprogettazione completa.

Il nostro primo obiettivo è l’aggiornamento dello strumento gratuito in modo che le sue metriche siano sempre più semplici e precise, utilizzabili e condivisibili. A lungo termine, vorremmo trasformare “Ecograder” in una piattaforma completa per la gestione delle metriche di sostenibilità e prestazioni per prodotti e servizi digitali.

Qual è la tua definizione di “Sostenibilità Digitale”?

È un concetto complesso da riassumere e il mio pensiero a riguardo è cambiato molto nel corso degli anni. Inizialmente mi sono concentrato sulla sostenibilità ambientale, soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle emissioni nocive di prodotti e servizi digitali.

Tuttavia, nello spirito della definizione della Commissione Brundtland circa lo sviluppo sostenibile, che richiede di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere le possibilità di sviluppo delle generazioni future, penso che sia importante guardare in modo olistico alle conseguenze delle nostre azioni digitali.

Arrivati al punto in cui siamo ora è chiaro come la definizione di “Sostenibilità Digitale” abbracci ormai un campo d’applicazione vasto e complesso. È necessario un approccio molto più olistico che tenga conto anche di tanti altri fattori come accessibilità, privacy, security, sempre considerando che tutti questi aspetti non sono necessariamente legati direttamente alla diminuzione delle emissioni di carbonio, ma che hanno lo scopo anche di produrre ottime performance UX, una delle nostre principali priorità al momento.

Il digitale offre opportunità per affrontare con successo molti dei nostri problemi sociali e ambientali: il lavoro della Fondazione Ellen MacArthur sugli asset intelligenti e l’economia circolare o la Coalition for Digital Environmental Sustainability (CODES) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ne sono un ottimo esempio.

Le emissioni non sono l’unica cosa negativa derivante dal nostro appetito vorace per tutto ciò che è digitale. Algoritmi di Intelligenza Artificiale razzisti e di genere, privacy dei dati, sicurezza, mancanza di accessibilità e tante altre questioni relative ai nativi digitali, stanno portando alla luce la necessità di un cambiamento significativo dei sistemi. Proprio come non si può pensare di affrontare il cambiamento climatico senza considerare anche la giustizia climatica, non creeremo mai un mondo digitale veramente sostenibile finché le questioni sociali non saranno affrontate insieme a quelle ambientali.

Attualmente, penso alla “Sostenibilità Digitale” come all’applicazione quanto più responsabile, etica, e sostenibile possibile della tecnologia per la risoluzione dei nostri problemi condivisi.

Abbiamo svolto alcune ricerche sulla Responsabilità Digitale che esplorano come portare avanti parallelamente il lavoro sulle le questioni sociali, ambientali ed economiche relative alla trasformazione digitale. Penso che sia questa la criticità che sarà fondamentale affrontare nei prossimi anni.

Di recente abbiamo realizzato un vademecum chiamato “I 7 princìpi della Responsabilità Digitale” che definisce gli obiettivi per un mondo digitale più sostenibile, equo e responsabile.

Abbiamo parlato con Tom Greenwood delle differenze di approccio alla Sostenibilità Digitale tra il mondo britannico-americano e quello franco-tedesco. Qual è la tua opinione? Noti anche tu differenze tra Stati Uniti ed Europa nell’approccio generale rispetto a questi temi?

Ritengo che gli Stati Uniti siano ancora sfortunatamente molto indietro rispetto all’Europa, sia nella comprensione che nell’adozione di questi princìpi. Mentre alcune grandi organizzazioni con sede negli Stati Uniti – come Microsoft – hanno iniziato a incorporare metriche di sostenibilità nei loro prodotti, la maggior parte del lavoro che vedo arrivare dagli Stati Uniti su questo fronte proviene da piccole imprese e comunità online composte da individui che cercano di fare la differenza, guidati dalle migliori intenzioni.

Detto questo, anche se le aziende Big Tech con sede negli Stati Uniti hanno affrontato enormi problemi relativi alla privacy dei dati e alla disinformazione, allo stesso tempo hanno aperto la strada ad altri settori con ingenti investimenti nelle energie rinnovabili. Vorrei che si potessero dedicare alcuni di questi sforzi per aiutare i clienti a utilizzare i loro strumenti in modi più sostenibili, etici e responsabili.

Per quanto riguarda ciò che sta accadendo nel panorama francese circa la Sostenibilità Digitale il mio punto di vista è quello di un osservatore esterno e sarebbe davvero utile per me riuscire ad avere maggiori informazioni a riguardo. Ho parlato con alcuni miei contatti in Francia e sono a conoscenza di come tutti gli attori di settore si stiano muovendo in una direzione davvero efficace, anche grazie all’interessamento da parte delle Istituzioni. Questo mi rende davvero felice.

Come pensi che il panorama del “Web Sostenibile” e della “Sostenibilità Digitale” cambieranno nei prossimi anni, considerato anche il forte interesse che stanno suscitando nell’opinione pubblica?

Ho menzionato in precedenza la necessità di affrontare in modo olistico le questioni sociali, ambientali ed economiche: questo deve accadere il prima possibile.

Spero si possa definire in modo più organizzato un lessico comune e omogeneo a tutti gli operatori di settore: una terminologia universalmente riconosciuta sarebbe un validissimo supporto perché permetterebbe la comprensione e l’accesso a queste tematiche in modo più diretto ed efficace, per eliminare le zone grigie che ancora sono causa di rallentamenti.

Abbiamo anche bisogno di strumenti che siano più accessibili e che diano priorità a questi problemi: le risorse open source e pubblicamente disponibili abbatteranno le barriere e permetteranno a tutti di di creare i propri strumenti, istruendo una fascia più ampia della società sull’importanza di questi problemi.

Quante più persone lavoreranno insieme con questo obiettivo comune, quanto più velocemente saremo in grado di creare un impatto collettivo misurabile e soprattutto efficace.